da “Di soglia in soglia”, 1955 – traduzione di G. Bevilacqua
Essi vendemmiano il vino dei loro occhi,
essi torchiano ogni pianto, anche questo:
lo vuole la notte,
la notte, cui stanno poggiati, il muro,
lo esige la pietra,
la pietra, oltre cui parla la loro gruccia,
fin nel silenzio della risposta –
la loro gruccia, che un giorno, un giorno d’autunno,
quando l’anno s’inturgida a morte, come uva,
attraversa parlando il mutore, fin giù,
nel pozzo dove sgorga il pensiero.
Essi vendemmiano, essi torchiano il vino,
essi pigiano il tempo come il loro occhio,
tutto il pianto che ne stilla ripongono
nel sepolcro del sole, che essi con mano
indurita dalla notte preparano:
affinché poi una bocca, somigliante alla loro:
torcentesi verso quanto è cieco, attrappita –
una bocca cui dal profondo sale la schiuma da bere,
mentre il cielo si cala nel cereo mare,
per splendere da lontano, mozzicone di luce,
se finalmente il labbro umidisce.