Alla cantina di Masone Campogalliano: la lavorazione

Continua la nostra chiacchierata con l’enologo Giulio Davoli e il presidente Lucio Brighenti della cantina sociale di Masone Campogalliano: seconda parte.

(Qui la prima parte)

Avete una bella lista di diversi tipi di Lambrusco in produzione, volete parlarcene?

 

DIGITAL CAMERA(GD): Essendo presenti tanto nella provincia di Modena quanto in quella di Reggio Emilia, vinifichiamo due tipi di lambrusco molto diversi fra loro, nonostante la vicinanza. Normalmente, nel modenese si tende a produrre lambruschi monovitigno. Noi ne siamo produttori in quanto abbiamo soci che forniscono le uve per il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco Salamino di Santa Croce, e il Lambrusco Graspagrossa di Castelvetro, che vengono vinificate singolarmente e danno origine a queste tre varietà DOC. Produciamo anche il “DOP Modena”, di nuova istituzione. Commercializziamo circa 130/150 mila bottiglie all’anno, che sono una goccia nel mare di vino che produciamo. Raccogliendo dai 110 ai 130 mila quintali d’uva, andiamo a produrre 90 mila ettolitri di prodotto e ne andiamo a imbottigliare solo fra i 1.200 e i 1.500. Il 2% viene imbottigliato, il resto viene venduto agli imbottigliatori della zona. Come quasi tutte le altre cantine sociali della zona, produciamo la base per servire gli imbottigliatori più grandi e famosi presenti in zona che dopo, con le loro bottiglie, vanno sugli scaffali di tutto il mondo.

 

Invece il Lambrusco reggiano è, secondo la tradizione, un taglio fra più lambruschi presenti nel territorio. Quella dei Lambruschi è una famiglia vastissima e nel reggiano sono presenti il Lambrusco Salamino, il Maestri, il Marani, l’Oliva, il Picol Ross, il Barghi, il Corbelli, eccetera: infatti storicamente in ogni frazione, borgo, era presente una varietà particolare selezionata. Questa biodiversità purtroppo si sta perdendo con gli anni, perché i nuovi impianti meccanizzati non sono in grado di sostenere tutte queste varietà e quindi si tende a fare degli appezzamenti monovitigno, ma comunque a Reggio è rimasta ancorata la tradizione di piantare più varietà.

 

Si riesce facilmente a notare la differenza fra un Lambrusco di Sorbara e un Lambrusco reggiano perché quello di Sorbara è rosato, mentre il reggiano è molto scuro. Il Lambrusco di Sorbara è più acido, nervoso, leggero e meno corposo, con tipici profumi di viola, mentre il Lambrusco reggiano è più corposo con profumi più fruttati e complessi proprio per via di questa miscellanea.

 

Un mix che ha a che fare con la biodiversità …

 

Esatto. Che si sta perdendo, perché nel corso degli anni e dei decenni si sono selezionate pochissime varietà, com’è successo anche con gli animali, con le colture erbacee e coi legumi. Si sono selezionate solo le varietà più produttive e che davano meno problemi dal punto di vista sanitario, ma così facendo si sono andate a perdere diverse caratteristiche importanti che davano quel tocco ormai disperso. Noi ci impegniamo a mantenere tutto quel che possiamo, come penso facciano altre cantine presenti sul territorio. Quando vengono i soci a chiedere che tipo di uva devono piantare, gli diamo indicazioni a seconda di quella che può essere una nostra idea, ma anche una nostra esigenza commerciale, un indirizzo – non vincolante, naturalmente – su quale varietà piantare.

 

(LB): Fra socio e cantina c’è un forte affiatamento. Dopo il conferimento, si continua a venire in cantina, a esporre eventuali problemi. Rispetto al passato vi sono stati dei cambiamenti, perché le cantine sono diventate più grandi, fondendosi fra loro, ora l’enologo è una figura che spesso si sovrappone al direttore dello stabilimento. Anche la figura del venditore ha acquisito molto peso, in cooperazione diretta con il direttore. Le cooperative sono sempre aziende a tutti gli effetti. Siamo associati a due cantine di secondo grado, dove fanno l’imbottigliamento: le Cantine Riunite di Reggio e la Cantina Caviro della Romagna.

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Chi lavora qui alla Masone Campogalliano?

 

Il presidente e una squadra di collaboratori tecnici e amministrativi. I dipendenti fissi sono una decina. Durante la vendemmia, che è un lavoro stagionale, aumenta il numero dei dipendenti. Normalmente vengono studenti, anche se in questi ultimi anni si è allungata la fila di chi ha perso il lavoro. Il lavoro è quello in campagna, gestito dai soci, e in cantina.

 

Cosa direste a un giovane che vuole cominciare questo lavoro? Troverà grossi ostacoli all’entrata?

 

È difficile la partenza, è un impegno molto oneroso. Ci vogliono il terreno, il trattore. Poi bisogna creare un’azienda che sia capace di produrre. Un’azienda di sola viticultura diventa difficile da gestire per i periodi di crisi. Anche perché adesso ci sono pochissimi finanziamenti. Tempo fa, quando c’erano i mutui quarantennali all’1% era molto più facile. Si pagava un affitto e poi la rata. Ora non vi è più nulla di tutto ciò, e per i giovani è difficile. Sarebbe importante che ci fossero, perché l’agricoltore sta invecchiando molto. Purtroppo negli ultimi anni il settore è stato abbandonato, non c’è più nessuno che parli di agricoltura.

 

(GD): Sì, c’è stato un abbandono dell’agricoltura da parte delle nuove generazioni. Anche l’Unione Europea non ha dato una mano, anzi ha fatto una campagna di estirpo. Di conseguenza è venuta a mancare la materia prima e si è tolta buona parte delle possibilità a chiunque volesse intraprendere questo lavoro. Adesso è tutto meccanizzato, l’acquisto di terra poi implica ingenti esposizioni finanziarie, forse è uno dei beni il cui valore è calato meno. Il lavoro di cantina invece è molto tecnico occorre fare gli studi necessari.

 

Anche voi avete dovuto rinnovare i vostri macchinari…

 

Tre anni fa abbiamo ampliamento il parco macchine. Abbiamo raggiunto i sessanta mila quintali di capacità e abbiamo messo alcune pigiatrici moderne per poter ricevere anche l’uva vendemmiata a macchina con dei cavi molto più grossi. Abbiamo investito circa cinque milioni di euro. Ora stiamo attendendo la risposta per un altro finanziamento da parte della Regione. Vorremmo acquistare una macchina per filtrare il vino e una pressa soffice per valorizzare al meglio i nostri Lambruschi.Queste innovazioni ci consentirebbero di occupare meglio la nostra fetta di mercato.

 

Quali sono le soddisfazioni più grandi che derivano da questo lavoro?

 

Vedere che le cose funzionano bene e che il prodotto è di qualità; il gruppo di lavoro è affiatato, e anche questa è una bellissima cosa.

 

Per il centenario nel 2008 avete festeggiato?

 

Sì, hanno partecipato anche alcune autorità, come ad esempio l’Assessore regionale all’agricoltura Tiberio Rabboni; diversi amici, rappresentanti di altre cantine. È stata una festa “in famiglia”, non abbiamo voluto esagerare. Il paese di Campogalliano ci ha voluto offrire una riconoscenza, un aratro d’oro, per ricordare il fatto che la nostra è stata la prima impresa nata sul territorio.

 

Il marchio è cambiato nel tempo?

 

(GD): Il nostro marchio è un grappolo d’uva, con attorno scritto “Cantina Sociale Masone Campogalliano”. Il marchio è pressoché identico a quello che la cantina portava prima di fonderci con Masone, è solo stata modificata la denominazione. Non siamo una cantina molto aggressiva dal punto di vista commerciale, anche perché ci siamo affacciati da poco al mondo della bottiglia. Qui tradizionalmente si veniva a comprare il vino sfuso in damigiana, come tutt’ora; poi la gente lo imbottigliava e lo lasciava fermentare a casa. La bottiglia confezionata era riservata agli imbottigliatori storici, come, nel modenese, Chiarli e Cavicchioli, che imbottigliano da decine di anni e si rivolgono al mercato italiano e a quello estero.

 

Per adesso la Cantina non ha un mercato estero, siamo molto legati al territorio. Non serviamo per scelta la grande distribuzione, perché non saremmo in grado di essere concorrenziali con i grandi poli industriali. Ogni anno abbiamo incrementato il numero di bottiglie prodotte e speriamo di andare avanti così. Aderiamo a qualche iniziativa che viene fatta nell’ambito del consorzio dei Lambruschi modenesi e reggiani per la ristorazione. Ci sono iniziative interessanti: ad esempio adesso nel reggiano c’è una serie di ristoranti che comprano a prezzo convenzionato il prodotto, organizzano serate dedicate di degustazione.

 

I vostri clienti come si compongono e cosa vi richiedono?

 

DIGITAL CAMERACi sono i clienti storici, poi di anno in anno ne arrivano di nuovi. Anche il vino in damigiana sembra percorrere una strada fuori dal tempo, perché non si ha più tempo e gli spazi di imbottigliare in casa. Ma è comunque bello mantenere questa tradizione. Ed è bello anche per il consumatore vedere che il vino fermenta e si spumantizza in casa, che si può godere di un vino con gusti totalmente diversi da quelli che si trovano nei vini in bottiglia. Ormai ci siamo abituati a un Lambrusco molto facile da bere, molto profumato, tendenzialmente dolce, ma non è il Lambrusco autentico, che si chiama così per un motivo. Chiaramente è impensabile fare un Lambrusco come lo si faceva cinquant’anni fa: bisogna seguire l’evoluzione del consumatore. Anche le abitudini alimentari sono cambiate, però stravolgere completamente il lambrusco a noi non sembra giusto. Siamo abbastanza tradizionalisti.

Il cliente che viene in cantina vuole trovare un lambrusco diverso da quello prodotto dai grandi poli industriali. Più particolare, meno standardizzato. Il nostro lambrusco non è uguale neanche attraverso gli anni, è diverso se imbottigliato o sfuso, perché il vino è un prodotto vivo, che si evolve. Rispettiamo al massimo quello che arriva dalla campagna. E questo il consumatore lo apprezza. Facciamo solo operazioni fisiche e meccaniche, la chimica viene lasciata fuori da questa cantina.

 

 (CONTINUA…)

 

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