Alla Formigine Pedemontana: in bottiglia e… damigiana

Continuiamo a proporvi alcuni estratti del nostro incontro con Alberto Vaccari, presidente della Cantina Formigine Pedemontana. In questo post scoprirete nuovi aspetti dell’attività produttiva della cantina sociale (a questo link trovate la prima parte della nostra intervista).

 

 

La Cantina esporta i sui prodotti?

 

La nostra cantina, per quanto riguarda le esportazioni all’estero, è ancora all’inizio. Stiamo cominciando a fare qualche fiera in collaborazione con il Consorzio. Questo è il terzo anno che andiamo in Germania, al ProWein di Düsseldorf. E anche quest’anno andremo al Vinitaly.

Non dico che per noi l’estero sia qualcosa di secondario, perché puntare all’estensione su altri mercati oggi è fondamentale per tutte le aziende, però stiamo cominciando a muoverci in quella direzione da poco.

Per quanto riguarda questo aspetto, le trafile burocratiche sono molto laboriose. Ogni paese ha la sua legislazione relativa alle importazioni, e bisogna conoscerla e adattarsi.

 

Faccio un esempio: negli Stati Uniti c’è una tassa altissima a collo, quindi è più indicato esportare cartoni da 12 e non da 6. Oppure ci sono paesi con la tassa sul tappo a fungo, perciò vai a esportare bottiglie con il tappo raso.

Noi siamo contenti di essere arrivati in un mercato lontano come ad esempio quello giapponese. Per noi è già un piccolo traguardo esserci arrivati e ad un prezzo per noi soddisfacente.

Abbiamo fatto qualcosa anche in Cina. In Europa qualche paese lo esploriamo da tempo. Esportiamo anche uno o due container all’anno in Messico da circa quattro anni. Ma parliamo ancora di numeri non troppo rilevanti.

 

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Com’è percepito il lambrusco all’estero?

 

Purtroppo il lambrusco per diversi anni all’estero non ha avuto una grande fama. Adesso, lentamente, si sta cercando di riportarlo a un buon livello.

Purtroppo negli anni passati alcuni attori del mondo del lambrusco hanno portato all’estero un’immagine sbagliata del prodotto.

 

Veniva considerato un vino povero?

 

In certi paesi non veniva neppure considerato un vino. Negli Stati Uniti lo chiamavano la Coca-Cola italiana. Ma anche in Germania c’era una simile percezione. Adesso invece si sta cercando di presentarlo per quello che è, soprattutto attraverso i consorzi. È stato costituito un altro consorzio del lambrusco Igt Emilia, che mette insieme Reggio e Modena e dovrebbe servire ad aumentare i controlli sul lambrusco prodotto, in particolare quello che viene distribuito all’estero. Si spera, anche in questo modo, di risollevare l’immagine del lambrusco, che sta cominciando a essere apprezzato un po’ ovunque.

 

Che rapporto c’è fra i soci e la cantina?

 

La filosofia della cantina è quella di unire il prodotto di tanti piccoli soci, che in una cooperativa contano come il socio grande. È bello vedere arrivare in cantina tanto il socio con il carico da 200 quintali, quanto il contadino con la cassetta.

 

La cantina, nel periodo prevendemmiale, fa delle visite nei campi, dove viene valutata la qualità delle uve e constatato il livello di maturazione. Vediamo anche di aiutare il socio, nel limite del possibile, a gestire le situazioni problematiche che si vengono a creare, ad esempio, per condizioni climatiche avverse.

 

Una forma di mutuo aiuto?

 

Esatto. Noi siamo molto attenti al rapporto con i soci, proprio perché crediamo che la qualità del vino parta dal campo.

 

Cerchiamo di avere un contatto diretto con i soci, e anche di fare formazione. Noi pensiamo che la cantina sia una prosecuzione dell’azienda dei nostri soci. È la cantina che completa il cerchio, ma bisogna partire da lì.

 

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Cosa succede dopo la raccolta?

 

I soci conferiscono l’uva dopo averla raccolta.

La vendemmia è il periodo clou dell’anno. È bellissimo, in quel periodo, vedere le file di carri, specialmente verso sera. Adesso di file se ne vedono poche, perché lo stabilimento è nuovo e le operazioni si sono velocizzate, però vedere i carri, con i quali ognuno porta il suo prodotto, è molto bello.

Noi il prodotto lo paghiamo ai soci in base alla quantità e alla qualità, cioè al grado zuccherino.

 

I prodotti sono tanti, e nel momento in cui viene fatto il grado il singolo socio viene indirizzato, in base all’uva che ha, in una delle quattro pigiatrici che abbiamo.

Abbiamo, tanto per fare qualche esempio, prodotti storici come il Grasparossa e il Salamino. Qualche socio porta pure uva per lambrusco di Sorbara. Poi produciamo tutti gli altri tipi di lambrusco, come il Maestri e il Marani. Raccogliamo poca Ancelotta, perché per noi la produzione del Rossissimo è secondaria, siamo una cantina da lambrusco.

 

Storicamente produciamo anche vini bianchi. Come il Trebbiano, che è la base per la produzione dell’aceto. Abbiamo sempre avuto un buon rapporto con gli appassionati di aceto tradizionale di Modena. Ci abbiamo sempre tenuto perché, pur essendo un prodotto di nicchia, ci piace avere a che fare con gli appassionati di aceto che in vendemmia vengono a comprare il mosto cotto o crudo, per le proprie botticelle conservate in solaio.

Abbiamo anche ospitato diversi corsi di assaggio di aceto, con gruppi della Consorteria di Spilamberto.

Questo rapporto con gli acetai è una conseguenza del fatto che molti soci conferiscono Trebbiano. Sia il Trebbiano romagnolo che il Trebbiano di Spagna.

 

Di bianco produciamo anche il Pignoletto, che è diventato DOC anche in provincia di Modena.

È un vitigno che parte nella zona dei colli bolognesi, però alcuni nostri soci lo coltivano da anni. Abbiamo visto che viene molto bene, sia in termini di quantità che di qualità, quindi è un vitigno sul quale, sia noi che altre cantine della zona, stiamo spingendo molto.

Ci crediamo perché è un vino per i giovani, che segue la scia fortunata del Prosecco. È un vino da aperitivo, molto apprezzato dalle donne. Noi lo facciamo nella versione frizzante. È una produzione in aumento, che ci permette di offrire un’alternativa al lambrusco.

 

Di fianco alla cantina, abbiamo un piccolo vigneto sperimentale. Il merito, come tanti altri ovviamente, è del presidente che c’era prima di me e dell’enologo.

Hanno voluto incrociare un lambrusco Grasparossa con un lambrusco di Sorbara, perché sono i due lambruschi principe. Hanno provato a far nascere un vino che unisse le caratteristiche migliori del Sorbara e del Grasparossa. È un esperimento in evoluzione.

Nello stesso tempo abbiamo piantato anche varietà antiche che stavano scomparendo, come il lambrusco di Fiorano, l’uva Sgavetta e l’uva Ghiarella, che alcuni soci mantenevano per affetto. Abbiamo voluto mantenere questo patrimonio.

 

I soci conferitori vengono pagati alla consegna dell’uva o alla vendita del vino?

 

DSC_9328Questa è una bella domanda perché entriamo proprio nel concetto di cooperativa. La cooperativa chiude il bilancio tutti gli anni al 30 di giugno. E lo chiude in pareggio. Per la cooperativa l’uva dei soci è un costo, va inserita in mezzo ai costi. Ovviamente paghiamo tutte le spese e quello che rimane lo distribuiamo fra i soci.

Il socio in sostanza ha una liquidazione tre volte all’anno, con tre acconti che sono in corrispondenza di settembre, quando si fa l’assemblea di bilancio prima della vendemmia, Natale e Pasqua. Quello che il socio porta a casa è il risultato della gestione dell’anno. La liquidazione viene calcolata in base alle vendite che ci sono state e alla situazione patrimoniale e finanziaria della cooperativa.

 

La collinearità vi distingue rispetto alle altre cantine del territorio?

 

 

Sì, ci distingue parecchio. Cambia la qualità. La qualità dell’uva è legata alla resa per ettaro.

Tanto per dare due numeri, se la nostra media di cantina, quest’anno, è stata di 130 quintali per ettaro, in una cantina qualsiasi del resto dell’Emilia ci sono delle rese molto più alte. In certi casi si possono andare anche a superare i 250 quintali per ettaro.

È chiaro che la vite è una pianta, e da tale fa quello che può. I nostri vigneti collinari riescono a dare qualcosa in più a livello di profumi e di qualità organolettiche.

Noi stessi, che abbiamo soci sia di pianura che di collina, avvertiamo la differenza fra i diversi prodotti.

 

Stiamo cercando di tenere divise le varie uve. Abbiamo la linea inprincipio, lanciata l’anno scorso al Vinitaly, dedicata alla ristorazione, dove cerchiamo di vestire la bottiglia in un modo diverso, più adatto a quel tipo di sbocco commerciale.

Si cerca di usare il prodotto che viene da determinati vigneti che sappiamo che vengono trattati bene.

 

Un socio che viene dalla Pedemontana è diverso rispetto a un altro socio?

 

In genere è più piccolo, perché solitamente chi ha un vigneto in collina non è il grosso proprietario che conferisce 3000 quintali di uva. Cambiano i rapporti, nel senso che sono più soci con un conferimento medio inferiore.

 

Come suddividete la vendita del prodotto?

 

La vendita principale resta quella del vino sfuso per gli imbottigliatori, ma dal 2000 imbottigliamo noi direttamente per la commercializzazione diretta.

 

Sul fronte dell’imbottigliamento la nostra crescita è costante, ma la filosofia dell’azienda è quella di crescere in modo graduale e sostenibile. Anche perché il segmento di mercato in cui vogliamo posizionarci con l’imbottigliato non è certo quello del primo prezzo, dove si fanno volumi maggiori. Noi, all’estero come in Italia, stiamo cercando di collocarci, con un buon rapporto qualità / prezzo, in una fascia che crediamo adatta a noi. La nostra cura per il rapporto qualità prezza è stata anche riconosciuta, nel 2010, da Gambero Rosso. Un nostro vino è stato premiato come miglior vino frizzante italiano in quanto a rapporto qualità / prezzo.

Non è un vino da primo prezzo, ma è comunque accessibile a tutti.

Basta pensare che noi vendiamo, al punto vendita, una bottiglia di Grasparossa DOC, che è la DOC della nostra zona, a 2,45€. Un prezzo da famiglia.

 

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Il nostro punto vendita ha sempre avuto una buona attività. Tutte le scelte che abbiamo compiuto sono state fatte per mettere il prodotto al centro, più che la confezione e tutto il resto che sta attorno alla bottiglia. Noi puntiamo alla sostanza e cerchiamo di mantenere dei prezzi accessibili per chi beve tutti i giorni. Ci teniamo a mantenere il contatto con il territorio. La maggior parte dei nostri clienti è della zona.

 

Un altro tipo di vendita nel quale abbiamo sempre creduto e nel quale continuiamo a credere è la damigiana. Adesso non vedete tanta gente perché non c’è la luna calante, ma se foste venuti la scorsa settimana avreste visto la fila di gente che viene con le macchine a riempire le damigiane.

Io sono presidente da due anni, e da 10/12 anni sono nel consiglio della cantina. Da tutti questi anni sento dire che la damigiana andrà scomparendo, ma intanto la vendita continua. L’anno scorso, forse anche per la crisi, abbiamo aumentato la vendita della damigiana.

 

Ci spiega in che modo le fasi lunari influiscono sul vino?

 

Secondo me questa è una cosa al limite fra la realtà e il mito. È un qualcosa di molto legato alla tradizione. Storicamente il contadino che faceva il vino in casa, come faceva mio papà e come ho fatto anche io, quando andava a imbottigliare lo faceva in fasi di luna calante. Non voglio entrate troppo nel merito, perché è qualcosa di difficile da spiegare, anche perché vale solo per il vino in damigiana.

 

Il vino che imbottigliamo noi in cantina segue tutto un altro procedimento. A volte ci chiedono il Grasparossa così com’è in bottiglia, ma in damigiana, ma non considerano che sono due prodotti diversi.

Per quanto riguarda la vendita in damigiana, la fermentazione avviene in bottiglia e non è controllata, mentre quando imbottigliamo noi in cantina, la fermentazione avviene in autoclave e in maniera controllata, con la temperatura controllata, con i lieviti selezionati, senza fondo della bottiglia.

 

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