Mentre per i secoli precedenti all’800 le notizie riguardo al consumo di vini Lambruschi sono alquanto scarse, durante il XIX secolo le osterie di Modena furono il luogo ideale per degustare i migliori lambruschi prodotti nella zona.
Presso la trattoria e bottiglieria di Giuseppe Giusti, sita in contrada Posta Vecchia, una bottiglia di Lambrusco “soprafino” costava più di un primo e secondo messi insieme, cioè 72 centesimi; mentre “Al Leopardo” una bottiglia di “Lambrusco vecchio” costava addirittura 1 lira. Curioso è il fatto che all’Osteria di Porta Castello, in fondo a corso Vittorio Emanuele, si potesse bere pagando un tanto all’ora; infatti per 25 centesimi all’ora si poteva versarsi vino a volontà nel bicchiere, tramite una mescola che prelevava da un tino collocato sotto la botte. Nono sappiamo comunque di quale qualità di vino si trattasse, difficilmente Lambrusco, dati i prezzi applicati dagli altri locali.
Da un’osteria di Modena, attorno al 1860, nacque una delle più importanti case vinicole produttrici di Lambrusco. L’osteria in questione fu quella dell’Artigliere, gestita da Cleto e Lucia Chiarli, che volendo soddisfare i numerosissimi clienti appassionati di buon Lambrusco, decisero di iniziare la produzione proprio al centro della città, affittando una cantina nel piazzale della Pomposa.
Nel 1885 intanto Enrico Ramazzini aveva pubblicato a Modena “I lambruschi di Sorbara e Salamino“, un ampio trattato dedicato agli agricoltori in cui prescriveva quali vitigni era meglio coltivare per una produzione enologica di qualità. “Le mie attenzioni – scriveva Ramazzini – sono state pelle uve che godono le simpatie dei viticultori e che pare stiano contendendosi la palma della preferenza: il Lambrusco Sorbara e il Lambrusco Salamino. Il primo vino da pasto, il secondo vino da taglio”.
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