Ogni vino ha una sua personalità, che possiamo conoscere versandolo nel calice e degustandolo. Una personalità che varia a seconda del contesto in cui lo beviamo: che può rivelarsi giovale durante una serata in compagnia, malinconica o ancora nostalgica, se bevuto durante una pausa di relax.
Fra le fantastiche situazioni che è riuscito a consegnarci attraverso la sua attività poetica, Charles Baudelaire ci ha lasciato un appassionato e profondo canto proveniente dall’anima del vino, che dalla sua prigione di vetro dona luce a chi, consumato dal lavoro, si concede al suo abbraccio fraterno.
L’anima del vino fa parte della più nota raccolta lirica di Charles Baudelaire, I fiori del male, una sezione della quale è dedicata al vino.
Nelle bottiglie l’anima del vino
una sera cantava: “Dentro a questa
mia prigione di vetro e sotto i rossi
suggelli, verso te sospingo, o caro
diseredato, o Uomo, un canto pieno
di luce e di fraternità. So bene
quanta pena, sudore, e quanto sole
cocente, sopra la collina in fiamme,
son necessari per donarmi vita
ed infondermi l’anima. Ma ingrato
non sarò, né malefico, ché provo
immensa gioia quando nella gola
cado d’un uomo usato dal lavoro:
il suo petto per me è una dolce tomba
e mi ci trovo meglio che nel freddo
delle cantine. Odi risuonare
i ritornelli delle tue domeniche
e la speranza che bisbiglia dentro
al mio seno che palpita? Coi gomiti
sopra il tavolo mentre ti rimbocchi
le maniche, mi vanterai e contento
sarai: della tua donna affascinata
accenderò lo sguardo; robustezza
ridarò a tuo figlio e i suoi colori,
e sarò per codesto esile atleta
della vita, l’unguento che rafforza
i muscoli dei lottatori. In te
cadrò, ambrosia vegetale, grano
prezioso, sparso dal Seminatore
eterno, perché poi dal nostro amore
nasca la poesia che a Dio rivolta
spunterà in boccio come un raro fiore.